Alla memoria di Luigi Granelli e Livio Labor, cattolici di fede, democratici di convinzione.
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Luigi Granelli (1929-1999)
Toccò a Granelli chiudere in qualche modo l'esperienza della DC mettendo la parola "fine" sull'attività della corrente denominata "Sinistra di Base", che tanto aveva contato nelle vicende scudocrociate e che in sostanza si era intrecciata con la vita di Granelli stesso. Giovane operaio metallurgico nativo di Lovere, sopra Bergamo, si era distinto fin da subito negli infuocati dibattiti del dopoguerra ritrovandosi poi con coloro che, dopo il non favorevole esito delle elezioni del 1953, volevano dare seguito alla vicenda del gruppo dossettiano ormai disciolto. Fu così che, per iniziativa di Giovanni Marcora (da tutti chiamato Albertino, suo nome di partigiano) e di Enrico Mattei, un gruppo di militanti in larga parte giovani si ritrovarono a Belgirate, sul lago Maggiore, per dare un nuovo respiro all'iniziativa delle forze di sinistra nel partito d'ispirazione cristiana. La relazione introduttiva, svolta da Gian Maria Capuani, era stata corretta nelle parti essenziali da Giuseppe Lazzati, a significare la continuità che si voleva porre fra la nuova aggregazione e il gruppo di "Cronache sociali". Granelli assurse subito al ruolo di leader politico che gli veniva sia dalla forte passione civile che da una non comune preparazione culturale, che il giovane operaio autodidatta aveva messo insieme grazie ad un potente sforzo di volontà. Grazie a lui la Base poté concepirsi come un fatto sostanzialmente nuovo, una realtà animata da cristiani che, ben prima che il Concilio Vaticano II si riunisse, metteva un forte accento sulla dimensione laicale dell'impegno politico e sulla necessità di impegnarsi per superare i residui liberali e fascisti ancora presenti nello Stato democratico per un piena attuazione della Costituzione e per l'avvio di riforme di sostanza nella struttura socioeconomica. Simili posizioni crearono a Granelli non poche antipatie nel mondo ecclesiastico, al punto tale che egli dovette lasciare Bergamo per Milano a seguito dell'aperta riprovazione espressa dal suo vescovo verso le idee dei giovani democristiani di sinistra. E' da rilevare come quell'intervento censorio provocasse anche l'effetto di spingere numerosi altri giovani amici di Granelli a lasciare la DC per approdare nelle file comuniste: fu il caso di Giuseppe Chiarante, di Lucio Magri, di Ugo Baduel e di altri. Granelli si candidò una prima volta alle elezioni nel 1958, ma su di lui pesava la diffidenza dell'arcivescovo Montini, non tanto per avversione nei confronti della linea basista di apertura al PSI (che anzi Montini condivise sia da vescovo che da Papa), quanto per la decisa affermazione da parte di Granelli di un'ampia autonomia dei laici nell'azione politica e sociale. Oggetto di un più o meno aperto boicottaggio da parte del mondo cattolico ufficiale e dell'associazionismo ad esso collegato, Granelli non ebbe i voti necessari per l'elezione. Nel 1963, inoltre, un "veto" espresso da ambienti curiali impedì addirittura l'inserimento del suo nome in lista. Granelli si rifece parzialmente alle elezioni municipali dell'anno successivo, divenendo capogruppo della DC al Comune di Milano. In quella veste ebbe alcuni scontri con il suo omologo socialista Bettino Craxi, del quale contestava la concezione strumentale e opportunistica dell'agire politico. Eletto alla Camera nel 1968, fu attivissimo nella battaglia interna al partito, contestando, insieme a pochi altri fra cui Giovanni Galloni, la scelta di De Mita e Marcora di allearsi con la destra interna per dar vita alla Segreteria Forlani, che rappresentò oggettivamente un momento involutivo nella vicenda della DC e del Paese. Più tardi, con la Segreteria Zaccagnini, Granelli rappresentò uno degli esponenti di punta della linea dell' "unità nazionale", del rapporto fra DC e PCI per uno sforzo comune finalizzato a far uscire il Paese da una grave crisi. Soprattutto, egli si distinse per un'attenzione non comune alle problematiche internazionali, come responsabile Esteri della DC e poi come sottosegretario agli Esteri. Ministro della Ricerca scientifica e poi delle Partecipazioni statali negli anni Ottanta, si distinse per la scrupolosità della sua azione e per il totale disinteresse personale, al punto che la sua figura non venne mai neppure sfiorata dai successivi processi per corruzione. Fu un critico implacabile dell'involuzione della DC segnata nuovamente dalla coppia Forlani-Andreotti e svolse una dura campagna pubblicistica contro il Berlusconi politico e contro il "tradimento" di Buttiglione. Accettò anche di guidare la Segreteria provinciale del PPI in anni particolarmente difficili, pur essendo stato personalmente contrario allo scioglimento della DC. Al IV Congresso nazionale del PPI, svoltosi a Rimini nell'ottobre 1999, dichiarò la sua intenzione di lasciare il partito contestando le debolezze e la chiarezza di prospettiva politica dei dirigenti. Due mesi dopo, a seguito di una grave malattia, moriva a Milano lasciando di sé la memoria di un dirigente capace e generoso, di una delle ultime grandi menti politiche del popolarismo italiano.